http://pellegrinetti1.interfree.it/nuova_pagina_2.htm

http://spazioinwind.libero.it/garfagnana_storia/EPISODI%20DELLA%20LOTTA%20PARTIGIANA.htm

http://pellegrinetti1.interfree.it/copertina.htm

LA GUERRA CIVILE IN GARFAGNANA

68 - DAVINI MARIO partigiano del “Valanga”,morto in combattimento sul monte Rovaio presso l’Alpe di S.Antonio il 29 agosto 1944.

I l gruppo “Valanga”...si organizzò soltanto nella primavera del 1944. Tuttavia già sul finire del 1943 Leandro Puccetti, che era studente universitario, cominciò a prendere i primi contatti e a progettare la costituzione del gruppo. Costituitosi “sulla carta” fin dai primi mesi del 1944, salì in montagna in aprile o maggio. In giugno contava una trentina di uomini, che salirono poi a una sessantina con l’arrivo di una trentina di emiliani fuggiti dalla cosiddetta “Repubblica di Montefiorino” distrutta dai tedeschi a fine luglio. A fine agosto subì una pesante sconfitta. Assediato sul Monte Rovaio dai tedeschi ebbe 19 morti fra cui il capo Leandro Puccetti e fu disperso. Ecco il nome dei caduti: (....) Davini Mario di S.Maria del Giudice (LU)

http://pellegrinetti1.interfree.it/cap6.htm
http://www.anpi.it/donne-e-uomini/leandro-puccetti/

I caduti sono ricordati in una cappella - sacrario nel Comune di Molazzana (LU), località Piglionico.

http://resistenzatoscana.it/monumenti/molazzana/cappella_del_gruppo_valanga/




foto da http://www.ursea.it/alpiapuane/anello_del_monte_rovaio/Lapide%20commemoratica%20dei%20partigiani%20a%20Trescola.jpg


69 - DAVINI PRIMO civile, segretario di Fascio di Metra in comune di Minucciano, fu prelevato dai partigiani della Banda Marini, condotto nei pressi di Regnano in Lunigiana e qui ucciso in un vallone il 17 ottobre 1944.
Davini Primo, Segretario di Fascio di Metra, di anni 49. Fu chiamato a Regnano presso il comando partigiano una prima volta e rilasciato perché senza colpe. Chiamato una seconda volta, egli ingenuamente andò di nuovo, fidando nella sua innocenza. Ma questa volta i partigiani di Marini (comandante della 3° Brigata) lo condussero in un vallone presso Regnano e lo uccisero il 17.10.44.

http://pellegrinetti1.interfree.it/cap8.htm
Liborio Guccione - IL GRUPPO VALANGA E LA RESISTENZA IN GARFAGNANA Pacini Fazzi, Lucca,1978

--- riportato anche in http://www.laltraverita.it/ricerca21b.php?nome=Davini%20Primo%20%20%20&%20data_morte=17/10/1944

Davini Primo – Civile - Reparto o organizzazione Politica :Gi

Dati Anagrafici :di Achille, n. a Minucciano (LU), di anni 49, ivi resid.

Data della morte :17/10/1944

Causa della morte :Fucilato o Assassinato

Luogo della morte :Regnano, MS

Ma quella che avrebbe destato più impressione – una volta scoperta – fu la vicenda di Primo Davini: anche per la notorietà che il personaggio aveva acquisito nella zona. All’attività contadina di famiglia, dopo il disastroso terremoto del 1920 l’intraprendente Davini aveva affiancato quella di impresario edile: il che, con tutti i lavori legati alla ricostruzione, gli aveva regalato un certo benessere.

Storico segretario della sezione del fascio di Metra, dopo l’8 settembre egli aveva aderito alla Repubblica sociale proseguendo – con scarsi risultati a dire il vero – nell’opera di proselitismo nel suo paese. Tale ruolo non aveva tuttavia impedito all’esponente repubblichino di privilegiare sempre il buon senso nell’espletamento della propria carica: giungendo spesso ad anteporre l’aspetto umanitario rispetto alle dure esigenze del drammatico momento bellico, in un tentativo di pacificazione il cui successo – data la posizione da lui ricoperta – appariva in partenza alquanto problematico.

Ricevuto dal presidio tedesco di Metra l’ordine perentorio di sequestrare la radiotrasmittente partigiana di Castiglioncello e di arrestare i banditen che la custodivano entro il mattino successivo, il Davini scelse, la sera prima, di avvisare l’Azzari della sua venuta, consentendone così la fuga. Quando poi su Metra piombò la Decima Mas, a compiervi un sommario rastrellamento di presunti partigiani, il dirigente neofascista non esitò ad intervenire, difendendo a spada tratta i propri compaesani, presentandoli tutti come suoi operai o comunque buoni conoscenti ed ottenendone così il rilascio.

Il sentimento di paternalistico affetto del Davini nei confronti del paese ebbe modo di manifestarsi anche in occasione dell’arresto, da parte dei tedeschi, del fratello del Marini (che faceva il mugnaio a Padula), la cui moglie era originaria di Metra. Accorsa la donna a casa sua ad implorarne l’intervento, ed informatolo che il marito era stato portato al comando germanico di Fivizzano in quanto sospettato di complicità con l’attività partigiana del congiunto, egli, una volta di più, non esitò a spendere tutta la propria autorità a favore del malcapitato, riuscendo a convincere i tedeschi della estraneità del mugnaio alla banda del fratello.

Ma doveva essere proprio l’innato altruismo, l’eccesso di fiducia nel prossimo a perdere il Davini: per comprendere la disgrazia del quale, però, occorrerà fare un passo indietro, e tornare agli anni d’oro del regime. Com’è noto, l’avvento alla segreteria nazionale del partito fascista di Achille Starace aveva segnato l’era della “tessera del pane”: in pratica, a nessun italiano era consentito di concorrere ad un impiego statale, fare carriera, esercitare un qualsivoglia diritto in mancanza dell’iscrizione al fascio.

Un giorno, alla sezione di Metra si era presentato un disoccupato di Antognano, intenzionato a farsi assumere (come molti di quelle valli) presso l’arsenale della Spezia. Si trattava di un noto simpatizzante comunista, che si era sempre rifiutato di aderire al regime: la necessità, evidentemente, lo portava adesso a scendere a più miti consigli. Venne così inoltrata la sua richiesta di adesione.

Gli otto giorni necessari alla burocrazia del partito a consegnare materialmente la tessera trascorsero però senza alcun esito (si trattava, del resto, della sezione lucchese più distante dalla federazione provinciale): il Davini, a quel punto, ovviò a tale ritardo consegnando nelle mani dell’impaziente antognanese un attestato comprovante la sua richiesta di iscrizione, rassicurandolo che la tessera gli sarebbe stata consegnata non appena fosse arrivata.

Sarà stato un moto di orgoglio, sarà stato il sentimento di umiliazione che l’incallito antifascista dové provare dinanzi agli altri (nella stanza erano presenti una quindicina di persone): fatto sta che egli reagì malamente alla premura usatagli dal segretario, ribattendogli ingiuriosamente che, quando avesse avuto finalmente tra le mani il cartaceo oggetto, ne avrebbe fatto un utilizzo non propriamente politico, ma piuttosto igienico.

Il Davini, a quel punto, dinanzi a tanta gente, non poté esimersi dall’assestare all’insolente provocatore un sonoro schiaffone: “Verrà il giorno che mi vendicherò con il sangue”, minacciò allora l’altro nell’allontanarsi, scornato e col naso sanguinante. Il che tuttavia non gli impedì di farsi assumere in arsenale (ove sarebbe peraltro rimasto fino alla pensione): nel ‘44 anche costui si sarebbe dato alla macchia con la banda Marini.

Sia per i suoi trascorsi politici, sia soprattutto perché – come detto – era divenuto uno dei personaggi più facoltosi della zona, il Davini fu sin da subito fatto oggetto di una particolare attenzione da parte del gruppo di Regnano. Puntualmente si presentava a casa sua proprio l’antognanese, intimandogli di presentarsi il giorno dopo al Castello quando con una manza, quando con una vacca: e allorché la stalla fu vuota, si passò a ripulirlo anche dei soldi.

Nonostante i suoi familiari lo mettessero in guardia dal recarsi così a cuor leggero da quella gente, lui, avendo compreso l’irriducibile rancore che gli portava lo schiaffeggiato, non volle mai ribellarsi a tali estorsioni, credendo forse così – ancora in un eccesso di ottimismo – di salvare sé stesso e la propria famiglia.

Finché, un giorno, quando ormai non potevano cavarne più niente, i partigiani non decisero di farlo fuori: condottolo nella selva del Vallone, gli fecero scavare la fossa, lo spogliarono anche dei suoi vestiti, gli sfilarono l’orologio e la catenina d’oro e lo giustiziarono. Era il 17 ottobre 1944.

La salma di Primo Davini poté essere recuperata dai familiari solo dopo la fine della guerra: più volte infatti il Marini negò loro che il congiunto fosse stato assassinato, depistandoli altrove ed arrivando persino a sostenere di averlo passato come prigioniero alla banda operante nella zona di Orto di Donna.

Paradossalmente, anche un figlio del Davini rischiò di fare la sua stessa fine, ma per mano tedesca: i nazisti infatti, dopo la sua sparizione, appreso che l’uomo si era recato proprio in quel di Regnano, si convinsero che lo avesse fatto per unirsi ai ribelli (questo a conferma della singolarità dell’acquiescenza dell’esponente repubblichino nei confronti degli ordini dei suoi dichiarati nemici). Fu solamente l’intervento di uno zio a salvare il giovane: pragmaticamente egli riuscì a convincere i tedeschi che lo speranzoso fratello non aveva fatto ritorno a casa non perché avesse tradito, ma semplicemente perché era stato ammazzato.

--







27 nov 2003 – update 2019